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Le gravine di Taranto

Se volessimo improvvisarci dei piccoli grandi Indiana Jones, alla scoperta di un tesoro nascosto, saremmo subito tentati di partire per chissà quale terra inesplorata, muniti di ogni attrezzo ed equipaggiamento, pur di trovare questo “benedetto” tesoro. Insomma la scoperta si unirebbe al viaggio e alle sue emozioni. Ma se ci troviamo nella provincia di Taranto, molti esploratori in erba, così come la maggior parte dei residenti stessi, non sa che il tesoro che disperatamente cerchiamo altrove, ce lo abbiamo proprio qua, sotto i nostri occhi: sono lesplendide gravine dell’Arco Jonico.

Le gravine corrispondono all’alveo di antichi fiumi che un tempo hanno solcato le Murge, collegando, da un punto di vista idrografico, le aree più interne allo Jonio. Si tratta di canyon, oltre 60, distribuiti su due semiarchi ideali affacciati sul Golfo di Taranto, posti a diversa altitudine; le pareti sono più o meno strette e profonde sino a 200 metri. Sulle rupi calcaree troviamo le specie più significative della flora pugliese con numerose orchidee. Le formazioni boschive sono dominate da fragno, roverella, leccio e macchia mediterranea. Molto varia anche la fauna con il capovaccaio, il biancone, il gufo reale, il lanario, il gheppio e alcuni mammiferi come l’istrice, il tasso, la volpe, la faina, la donnola e diverse specie di rettili e anfibi.

Ma la stupore che suscitano le gravine non si ferma al ricco corredo naturalistico, perché al proprio interno troviamo preziose testimonianze della civiltà rupestre, risalente ai nostri più antichi avi. Parliamo del diffuso patrimonio di beni artistico-culturali con la presenza di chiese, cripte, santuari e l’impronta della civiltà contadina con masserie, trulli, muretti a secco, che, in armonia con la rete dei campi coltivati e degli ambienti naturali, definiscono un paesaggio di forte identità, unico. Un paesaggio tempestato da grotte e cunicoli, che costituiscono interi villaggi di una volta, i famosi insediamenti rupestri, dotati di tutte le infrastrutture necessarie: sentieri, scalette, terrazzamenti, sistemi di raccolta e distribuzione di acqua piovana e di provviste alimentari. La frequentazione umana di queste zone è attestata dal VII secolo. Fino al XIV secolo tanti popoli hanno impresso la loro impronta su questi tratti di roccia e terra fertile (greci, romani, bizantini longobardi) fino al lento ma progressivo abbandono, in favore della modernità e della civiltà contemporanea fondata sul progresso.

Il cosiddetto “progresso”, che ha asfaltato tutto e tutti, travolgendo le radici della nostra storia, imponendo uno sviluppo forzato. Un esempio è la provincia di Taranto dove si è operata la scelta della grande industria, volano della ricchezza fondata sullo stipendio sicuro, ma prodotta senza memoria, al culmine storico del boom economico degli anni ’60, Nel frattempo sono stati tralasciati fatalmente quei tesori che oggi mormorano pacatamente la propria presenza, senza dar fastidio, ma sicuri che anche il loro silenzio, di bellezze inesplorate, faccia tanto rumore. Un rumore che parla di un ricco patrimonio purtroppo poco sfruttato, sconosciuto ai tarantini, schiacciato dall’economia dell’industria pesante, portatrice di veleni.

Le Gravine dell’Arco Ionico rappresentano un’ occasione persa di costruire un brillante presidio turistico, senza crisi di produzione ne alcuna controindicazione, sostenuto dalla prelibatezza dei nostri prodotti tipici agro-alimentari. Il tanto osannato sviluppo, quello che oggi ha bisogno dello stabilimento o del marchingegno per dirsi compiuto, sarebbe stato raggiunto lo stesso con una rete turistica, fondata su natura, storia, arti e settore primario. In questi anni si tenta di invertire la tendenza, ma è chiaro che è un’impresa disperata, lasciata al manipolo dei cosiddetti ambientalisti, ad associazioni o cooperative, non condivisa dalla classe politica, riluttante alle scelte forti, che vadano a configgere gli interessi delle grandi lobby industriali.

Con l’istituzione del Parco delle Gravine, la scommessa è quella di far convivere industria e turismo; una convivenza difficile, perché tra la bellezza di un affresco o di una chiesa rupestre e l’utile di un' industria, ad avere la meglio è sempre quest’ ultimo. Siamo al paradosso della diffusione del turismo industriale, con delegazioni giapponesi, cinesi o russe che si recano in pellegrinaggio per ammirare gli impianti industriali tarantini. Quanti altri oltraggi dovrà subire il nostro territorio?

Quanti altri errori? Le gravine sono là, non si muovono e ci dicono che forse siamo sempre in tempo per fermarci, ripensare tutto. E ripartire.

 

Articolo scritto da "Angelo".

Ospite

Provincia/Paese

Ginosa, Taranto

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